Il successo dell'IPO di Poste Italiane origina principalmente dalla composizione sociale degli oltre 30 milioni di clienti costituita per la maggior parte da cittadini, pensionati e lavoratori, piccola e media imprenditoria diffusa, che è il tratto caratteristico produttivo e commerciale del nostro "sistema Paese". Come è già stato detto, Poste Italiane ha svolto, nel tempo, un servizio di "prossimità" instaurando un rapporto fidelizzato col territorio anche grazie alla presenza capillare dei suoi uffici, offrendo servizi e gestendo il risparmio di milioni di cittadini. Un profilo aziendale fortemente caratterizzato da un rapporto fiduciario con l'utente/cliente, rapporto fiduciario di cui l'acquisto delle azioni risulta un tassello ulteriore perfettamente coerente con l'insieme dei servizi già offerti. Inutile sottolineare che grande merito di tutto ciò non può che essere attribuito alla competenza e alla capacità di "relazione" col pubblico dell'insieme dei dipendenti. In forza di queste brevi considerazioni, davvero non si capisce la macroscopica entità dei premi che verrebbero attribuiti ad una fascia di Dirigenti (fino al 50 per cento della retribuzione annua lorda (!!!) come si evince dal prospetto informativo) mentre contemporaneamente, a molti dipendenti viene negata la possibilità di acquisto dell'esiguo pacchetto di azioni loro riservate (a prezzo di mercato) in considerazione della loro profilatura di rischio (???). Inoltre, qualora venga loro impedito l'acquisto della quota riservata, i dipendenti sono contestualmente impossibilitati al previsto utilizzo del TFR.

Avremmo bisogno di spiegazioni urgenti perché questo scarto così evidente nei trattamenti appare insopportabile. Più volte abbiamo denunciato l'allargamento smisurato e sproporzionato della forbice tra i trattamenti di dirigenti e manager da un lato, e le condizioni economiche dei lavoratori dall'altro, fenomeno largamente diffuso negli ultimi anni in tantissime grandi aziende: la "buona uscita" di un Amministratore Delegato di una grande azienda può arrivare a 200 anni di retribuzione lorda di un normale dipendente.

È necessario che vengano rimossi questi curiosi e inspiegabili limiti posti ai dipendenti di Poste Italiane e sarebbe forse più equo essere un po' meno "generosi" con alcuni dirigenti del Gruppo. Di ulteriori "caste" non ne sentiamo proprio alcun bisogno.

Massimo Cestaro, Segretario Generale SLC-CGIL

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