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Uno dei settori che in Europa ha resistito meglio alla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni è certamente quello della carta Tissue. In tale contesto alcune grandi aziende, come Kimberly Clark, SCA, Sofidel, WEPA, Tronchetti e Lucart, controllano da sole il 70 - 80% del mercato europeo.

I buoni risultati conseguiti, anche in anni così difficili, sono dovuti prevalentemente ad una crescita della richiesta da parte dei mercati emergenti, come Cina, India ed Europa dell’est ma anche ad una serie di operazioni di accorpamento e razionalizzazione che dal 2010 vengono portate avanti dalle maggiori imprese del Settore.

UNI Europa graphical & Packaging ha per questo intrapreso un percorso, sostenuto dalla Comunità Europea, finalizzato al monitoraggio, allo scambio di informazioni ed all’analisi di quanto sta avvenendo. Un lavoro che ha gettato le basi per le conseguenti iniziative sindacali transnazionali da adottare nelle varie multinazionali prese in esame.

E’ stato così possibile tracciare un dettagliato quadro di riferimento del settore ed intraprendere un percorso volto al miglioramento della funzionalità dei CAE e del dialogo sociale, come strumenti indispensabili al governo dei processi globali in atto.

In tale contesto SLC-CGIL ha svolto un ruolo di primo piano, poiché l’Italia si conferma come il maggior produttore europeo di carta tissue ma soprattutto perché il nostro sindacato è quello maggiormente rappresentativo.

Tutto il lavoro svolto nelle varie sessioni di incontro, anche con la partecipazione delle rappresentanze aziendali, è ora disponibile nell'articolo riportato (download articolo).

Roma 27-02-2018
Maurizio Feriaud

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Sono oltre il milione e centomila le persone che operano nello sport a vario titolo e con diverse modalità di retribuzione: di queste, poco più di centomila hanno un rapporto di lavoro riconosciuto e contrattualizzato, in modo spesso flessibile e precario, e circa un milione non ha rappresentanza. Così denunciano congiuntamente NIdiL e Slc Cgil, durante la presentazione dell’indagine nazionale “Per te lo sport è un lavoro?”, che prevede la somministrazione di un questionario per ricostruire un inedito identikit dei lavoratori dello sport oggi in Italia. La ricerca è a cura dell’Istituto SL&A Turismo e Territorio, il questionario sarà disponibile sul sito NIdiL a partire da lunedì 15 gennaio 2018.
“Il Sindacato intende conoscere in maniera approfondita il settore dello sport, per includere nella sfera dei diritti pezzi di lavoro che tradizionalmente ne sono esenti – dichiara Fabrizio Solari, segretario generale Slc Cgil – Se si alza il tetto ai 10mila euro dell’area detassata e de contribuita, così come previsto dall’ultima legge di bilancio, ci avviciniamo ad una fascia di reddito che si conforma a lavori veri e propri. Siamo un un’area in cui è possibile fare reddito d’impresa anche grazie ad una riduzione del costo del lavoro, al di fuori di qualsiasi regola. Bisogna porre un freno ad una deriva pericolosa”.
“Ci sono almeno due interpelli del Ministero del Lavoro in cui anche tutte le figure che non sono strettamente connesse all’attività sportiva, ma rientrano nell’attività del soggetto economico, sono attratte dalla regola dell’esenzione fiscale e contributiva – aggiunge Claudio Treves, segretario generale NIdiL Cgil – Il legislatore ha operato, nel tempo, affinchè il nucleo originario di esenzione si allargasse progressivamente, creando un cospicuo numero di persone che lavorano in maniera precaria per legge, fino ad introdurre un’ampia area di lavoro senza copertura previdenziale”.
Nella recente Legge di Stabilità sono inserite risorse, seppur limitate, per l’impiantistica sportiva e il finanziamento per riconoscere la maternità alle atlete nel mondo sportivo dilettantistico. Vi sono anche limiti che andranno contestati, contrastati e governati: i 7.500 euro dei compensi sportivi sono stati portati a 10mila e vi è la possibilità per le società sportive professionistiche di ricorrere all’uso dei voucher. È prevista inoltre la possibilità di costituire o trasformare le società sportive dilettantistiche, oggi considerate solo senza fine di lucro, in società sportive dilettantistiche con il fine di lucro. Si estendono quindi i benefici
e le agevolazioni fiscali delle società dilettantistiche a chi fa business, comprese le deroghe sul mercato del lavoro.
In sintesi:
* la quasi totalità dei rapporti è co.co.co. di natura sportiva
* è stato innalzato il limite per l’esenzione fiscale e contributiva del compenso sportivo dai 7,500 ai 10mila euro
* pressoché totale assenza di coperture previdenziali, nessuna forma di assistenza e copertura assicurativa limitata al solo tesseramento alle federazioni spoirtive
* il gravoso peso della responsabilità civile contro terzi in capo ai singoli
* l’adeguamento e l’aggiornamento professionale a carico dei singoli operatori dello sport
* il riconoscimento della maternità alle atlete, ma non alle allenatrici.
Scarica il questionario: Questionario sport
Scarica la ricerca: Ricerca
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Una grande manifestazione a Roma il prossimo 6 maggio, perché dal “Decreto alla legge la sfida continua per conquistare la Carta dei diritti universali del lavoro”. E’ questa la decisione assunta dagli oltre 1500 quadri e delegati della Cgil che questa mattina si sono riuniti al Teatro Brancaccio di Roma.

L’iniziativa del sindacato ha avuto luogo, dopo che giovedì scorso la Camera dei deputati ha approvato il decreto legge recante disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modifica delle disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti, per decidere come proseguire la campagna Referendaria e le iniziative di mobilitazione a sostegno della ‘Carta’.

“Abbiamo vinto il primo round, ma non smobilitiamo”, ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, “Ora ci auguriamo che il decreto venga rapidamente approvato dal Senato”.

“In ogni caso – ha aggiunto il leader della Cgil – la battaglia per i diritti non si ferma perché vogliamo il reintegro in caso di licenziamento illegittimo e perché l’obiettivo finale è la legge di iniziativa popolare della Carta dei diritti universali del lavoro”.

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La CGIL condivide la necessità espressa dal Presidente Junker nel suo discorso sullo stato dell'Unione di fare in modo che "all'applicazione equa, semplice, ed efficace di tutte le norme dell'UE sulla mobilità dei lavoratori provveda un nuovo organo europeo di ispezione e controllo".

Tale organo, pur potendo svolgere un ruolo importante – seppur con alcuni caveat – non eliminerà certo le numerosissime disparità che esistono nell'Unione e nell'Eurozona in materia di trattamento delle lavoratrici e dei lavoratori e di salario.

Servirebbero ben altre iniziative per porre fine o quanto meno arginare la competizione al ribasso in materia di salari e di diritti che sta provocando danni gravissimi all'economia europea e al benessere di cittadini e lavoratori.

La CGIL, in tale contesto, pur vedendo con favore le iniziative previste nel Pilastro europeo dei diritti sociali, auspica ulteriori interventi in questa direzione, a partire dalla discussione di uno strumento salariale europeo che abbia la finalità di arginare il dumping salariale, anche per i lavoratori in distacco o in mobilità transnazionale.

La CGIL, inoltre, condivide e sostiene le posizioni espresse dalla Confederazione europea dei sindacati nell'ambito dell'audizione dedicata dell'11 dicembre 2017 e contenute nella posizione approvata dal Comitato Esecutivo del 14 dicembre 2017.

Riteniamo infine utile ed urgente che l'Autorità svolga e coordini ispezioni e controlli a livello transnazionale e, a tal fine, sia dotata delle sufficienti risorse di personale e finanziarie. In particolare, l’Autorità dovrebbe:

  1. organizzare e coordinare ispezioni congiunte delle competenti autorità nazionali;
  2. essere informata, dagli ispettori nazionali, sui casi di frode, abuso e violazione transnazionale della normativa dell’Unione;
  3. facilitare lo scambio di informazioni tra gli ispettori nazionali;
  4. promuovere la collaborazione tra gli ispettori nazionali;
  5. ricevere le segnalazioni delle parti sociali sui casi transnazionali di frode, abuso o violazione della normativa dell’Unione.

La CGIL ritiene che la proposta di costituire una Autorità europea del Lavoro, pur non priva di potenziali rischi, possa costituire una buona occasione per affrontare alcune lacune in questo ambito. Essa rileva quanto segue:

  • occorre chiarire il ruolo, le competenze e la governance dell'Autorità con il coinvolgimento degli Stati membri e delle parti sociali europee e nazionali; queste devono essere coinvolte in ogni fase fino alla costituzione dell'Agenzia;
  • nulla è detto nelle prime comunicazioni rispetto alle questioni finanziarie concernenti l'Autorità: per capire quanto essa davvero possa essere operativa occorrerebbe conoscerne, anche in modo approssimativo, la dotazione finanziaria;
  • l'Autorità deve avere un organismo di direzione e un organismo di controllo che possa garantirne l’indipendenza, l'imparzialità e la trasparenza; all'organismo di controllo dovrebbero partecipare con propri delegati/e anche le parti sociali;
  • l'Autorità deve essere dotata di personale proprio e godere di autonomia e operatività; potrebbe essere utile avere a disposizione anche personale distaccato dalle autorità nazionali coinvolte: nel caso italiano, ad esempio, oltre alle parti sociali nazionali, sarebbe di primaria importanza il coinvolgimento delle autorità ispettive nazionali e dell'ANPAL;
  • per quanto riguarda le ispezioni e i controlli, l’Autorità dovrebbe potere avere accesso (senza ostacoli burocratici) ai database nazionali esistenti e si dovrebbe rafforzare la connessione a livello europeo di tali database, rivedendo in tal senso il BRIS (Business Registers Interconnection System) e il database che accompagnerà la creazione dello European Social Security Number;
  • l'Autorità dovrebbe poter sviluppare casi di studio, relazioni strategiche e promuovere riunioni tecniche di esperti nazionali con carattere operativo su questioni di particolare urgenza.La CGIL ritiene in particolare che l'Autorità non dovrebbe interferire con le attività ispettive nazionali, ma lavorare a supporto e amplificarne l'efficacia e l'efficienza, in particolare nelle situazioni di dimensione transnazionale, con la finalità di perseguire abusi e promuovere l'emersione di pratiche scorrette che approfittino di eventuali carenze di scambio di informazione o di buchi nella legislazione.L’Autorità dovrebbe facilitare l’accesso alla giustizia dei lavoratori e delle parti sociali vittime delle frodi, degli abusi e delle violazioni transnazionali.L'Autorità inoltre non dovrebbe interferire con i sistemi di contrattazione collettiva nazionale, né con i sistemi di fissazione dei salari.
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La SLC, Sindacato Lavoratori della Comunicazione, non può esimersi da una valutazione degli aspetti economici, politici, sociali e sociologici e, ovviamente, sindacali legati al tema dei big data.

Il tema della rete e della produzione dei big data ha, in primo luogo, una forte implicazione politica: la pervasività del digitale determina una nuova modalità di sfruttamento inconsapevole del lavoro individuale, crea piattaforme molto simili ai vecchi e vituperati monopoli, di fatto cambia il paradigma dell'agire democratico. La sistematizzazione dei dati aggregati e la loro lettura consente di agire sul collettivo predicendo ma anche orientando scelte e comportamenti.

Gli aspetti che vogliamo evidenziare attengono a:

1) L’accesso all'informazione tramite web.

Oggi la divulgazione di contenuti ha nel web uno dei suoi canali principali.

Vi sono dunque elementi di ordine legislativo che attengono al diritto d’autore, tema decisamente complesso poichè include la libertà di informazione, la libertà di accesso e di immissione di dati, oltre la certificata asimmetria tra la crescita esponenziale dell'utilizzo delle notizie in rete ed il valore di scambio delle stesse.

Qui proviamo ad affrontare due problemi.

L'uno attiene alla retribuzione dovuta a chi produce contenuti immessi nel web ed al riconoscimento della specifica professionalità.

L'altra, non sconnessa dalla prima, alla certificazione delle fonti e dei contenuti stessi.

La certificazione ha una correlazione elevata con il tema della possibile manipolazione dell'opinione, uno degli elementi portanti il dettato costituzionale democratico.

Se la democrazia infatti trova un equilibrio nella possibilità di accesso del cittadino alla conoscenza al fine di elaborare un'opinione che si esprimerà, formalmente, con un voto ed un mandato, i mezzi di comunicazione rimangono il foro principe della creazione delle opinioni a loro volta necessarie per esercitare il dovuto controllo democratico su politici ed istituzioni.

Ci troviamo di fronte ad una forte concentrazione di potere nell'ambito della formazione dell'opinione, in capo a grandi colossi che non sono neppure tenuti a dare contezza della attendibilità di quanto reperibile nei propri contenitori ed il rischio di manipolazione è altissimo.

Analizziamo dunque, paradigmaticamente, il ruolo non solo distributivo ma di orientamento editoriale di Amazon.

2) La problematica relativa alla retribuzione dovuta a chi produce contenuti immessi nel web ed al riconoscimento della specifica professionalità. Se la sfida sindacale è legata alle modifiche repentine dei processi di produzione, non meno rilevante è quella relativa al riconoscimento della giusta retribuzione dei lavoratori strutturati, rispetto alle nuove modalità di prestazione lavorativa, e all'inclusione necessaria di tutte quelle professionalità oggi non riconosciute che attengono specificamente alla produzione digitale di contenuti. In questo senso non pensiamo solo al lavoro autorale ma anche a tutte le professionalità che costituiscono la vera rete dei grandi operatori e che, ad oggi, non hanno un rapporto di lavoro strutturato e contrattualizzato.

Affrontiamo a seguire il problema dell’immissione involontaria di dati sul web, legata all’utilizzo dei social, alle transazioni digitali, alla setacciabilità ed all’intreccio delle informazioni che attengono ciascun fruitore della rete.

Poniamo l’accento sulla inadeguatezza delle normativa europea sulla privacy, nonostante le recenti modificazioni.

E’ per noi evidente che, in conformità con l'esigenza di rispetto e tutela della privacy, sia necessario che il legislatore preveda forme di tutela complessiva e vincoli i detentori di dati a fini di utilizzo leciti, con la consapevolezza dell'utilizzo in capo al singolo.

Il che è complicato dal dato che i più grandi detentori di dati sono colossi privati e dal fatto che gli Stati, unici in grado di esercitare una qualche coazione nei confronti dei cittadini per ottenere informazioni personali, spesso utilizzano privati per processare i dati in loro possesso.

Ed esiste un tema che, sindacalmente, non possiamo eludere e riguarda le nuove modalità di lavoro. In Francia, all'interno della nuova legislazione del lavoro, vi è una disposizione che prova a regolamentare la intensificazione oraria del lavoro, il cd diritto alla disconnessione. Le nuove tecnologie hanno comportato un deciso allungamento "informale" dell'orario di lavoro, informale perché non riconosciuto e non retribuito. Se, da un canto, le previsioni sulla decrescita della forza lavoro conseguente alla rivoluzione 4.0 sono molto più che catastrofiche, la prestazione lavorativa del singolo non ha più limiti orari stabiliti e monitorabili. Di fatto è aumentata la produttività e non sono aumentati i salari e, per molte professionalità, si è consumato uno sganciamento tra la corrispondenza di orario di lavoro e salario. Questo mina alla base la capacità di rivendicazione salariale secondo modelli consolidati da lustri.

Riteniamo poi che, di fronte alle continue riorganizzazioni aziendali motivate da dati di bilancio che esprimono uno specifico valore reddituale e patrimoniale delle aziende, dovremmo iniziare a contabilizzare tutti quegli elementi che non rientrano nelle voci di attuale redazione dei bilanci. Scopriremo, come avvenuto per FB all'atto della sua quotazione, che il valore reale di quelle aziende è esponenzialmente maggiore di quanto dichiarato a chiusura bilanci. In un'ottica di redistribuzione equa di ricchezza non è più accettabile affrontare il tema dell'occupazione di interi settori, TLC in testa, senza questo elemento aggiuntivo di analisi.

Infine la CGIL, non rinuncia a richiamare il pubblico affinché si riappropri del ruolo che gli spetta.

Crediamo che lo Stato ed il Governo debbano per primi garantire i diritti dei singoli cittadini esercitando la propria responsabilità politica sul "digitale". E, in virtù della dimensione internazionale del tema della pervasività del web e del possesso dei dati in capo a grandi Monopoli, vi è la necessità di una tutela sovranazionale. Dunque, come in parte osserviamo in merito alla regolamentazione relativa alla privacy di matrice europea, spetta ai singoli Stati sollecitare ulteriormente gli organismi sovranazionali perché si propongano normative di tutela ulteriore e progressiva.

Non può esserci disinteresse da parte degli Stati sugli elementi che attengono la modifica dell'informazione, sullo stato economico della carta stampata, sui nuovi Monopoli, sugli usi dei dati che renderanno sempre più obsoleta la richiesta di servizio pubblico a fronte della possibilità di avere offerte " private" mirate (sanitarie, assicurative, sulla mobilità...).

Spetta infatti allo Stato invertire la rotta che porta alla sempre più grande concentrazione di ricchezze, alla creazione di agglomerati che sono il vero nuovo centro di potere privato, pervasivo ed incontrollabile, alla "intrusione" e violazione dei diritti fondamentali.

Essendo molteplici le implicazioni economiche legate alla raccolta ed all’utilizzo dei dati non si può rinunciare alla governance pubblica di tutte le materie attinenti ed agli Stati spettano anche quegli investimenti in innovazione tecnologica che, lasciati ai privati, prefigurano un sistema monopolistico in settori strategici esiziale per l'economia e per la democrazia stessa.

Cinzia Maiolini

Segretaria Nazionale Slc Cgil

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