Oggetto: Provvedimento di avvio dell’istruttoria sull’Opas EI Towers-Rai Way –C11987–. Invito volto all’adozione di provvedimenti necessari e urgenti.

Premesso che
- con l’art. 21, comma 3°, D.L. n. 66/2014 conv. in L. n. 89/2014, è stato previsto che la Rai Radiotelevisione italiana s.p.a. (di seguito RAI) «può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato. Le modalità di alienazione sono individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico»;
- con D.P.C.M. del 2.9.2014 veniva resa nota, in verita’ nella sola premessa, la intenzione «allo stato» di mantenere in capo a RAI il controllo del 51% del capitale di RaiWay s.p.a. (di seguito Rai Way), al fine di «garantire la continuità del servizio erogato da Rai Way a Rai», e venivano individuate le modalità di alienazione «di quote di partecipazioni detenute da RAI in Rai Way»;
- si hanno per ampiamente note a codesta Autorità le successive vicende, relative alla cessione di partecipazioni del capitale di Rai Way (il cui 65,07% è, ad oggi, detenuto da RAI a fronte dell’avvenuto collocamento del restante 34,93% sul mercato telematico azionario) e l’OPAS lanciata ai sensi degli art. 101 e ss. TUF da EI Towers s.p.a. (di seguito anche EIT);
- a seguito di comunicazione ex art. 102 TUF da parte di EIT, nell’adunanza del 10.3.2015 codesta Autorità, «ritenuto che l’operazione in esame, consistente nell’acquisizione da parte di EI Towers del controllo esclusivo di Rai Way, sia suscettibile di determinare, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 287/90, la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante nel mercato delle infrastrutture per la radiodiffusione televisiva e nel mercato delle infrastrutture per la radiodiffusione sonora, con potenziali effetti escludenti e di coordinamento nei suindicati mercati a valle» deliberava «l’avvio dell’istruttoria, ai sensi dell’articolo 16, comma 4, della legge n. 287/90, nei confronti delle società EI Towers S.p.A. e Rai Way S.p.A.»,
tutto ciò premesso, il sottoscritto Massimo Cestaro, in qualità di legale rappresentante della organizzazione sindacale SLC - CGIL (Sindacato lavoratori comunicazione - Confederazione generale italiana del lavoro),
espone
Il DPCM detta le regole per la alienazione di quote di RaiWay; sennonché, nella sintassi legislativa, il DPCM è strumento di normazione secondaria, il cui ambito di operatività è, dunque, circoscritto alla esecuzione di norme dettate dalla legge.
1) L’inquadramento normativo, sotto il profilo della disciplina di diritto pubblico regolante la concessione del pubblico servizio radiotelevisivo.
L’operazione di cessione di Rai Way è una operazione orientata verso un unico e, per quanto consta, illegittimo fine: aggirare le norme che disciplinano il funzionamento della concessionaria per l’erogazione del servizio pubblico radiotelevisivo, facendo intendere che queste non si applichino anche a Rai Way, al fine di favorirne il lento e inesorabile smembramento o, come appare più probabile, al fine di agevolarne l’acquisto, il controllo o l’ingresso nella partecipazione da parte di soggetti che non sono concessionari del servizio pubblico.
Occorre altresì considerare che l’attività non commerciale o industriale di Rai Way è costituita dall’espletamento di una parte di servizio pubblico radiotelevisivo, quella conferita dalla stessa Rai nel 2000, mediante conferimento del ramo d’azienda denominato “Direzione tecnica”.
Tuttavia anche l’espletamento di tale parziale attività non implica titolarità del relativo assentimento concessorio, ma semplice avvalimento da parte della Rai che, per legge, rimane l’unica ed esclusiva concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
Pertanto Rai, qualora l’OPAS fosse portata a compimento, non si avvarrebbe più di una sua società del Gruppo, per la trasmissione del segnale, bensì di una società riconducibile al proprio principale competitor.
A tale proposito, assai significativamente la CONSOB ha imposto nel prospetto informativo, relativo all’offerta pubblica di vendita, depositato il 1° novembre 2014, l’indicazione del rischio costituito dalla «contestazione dell’Offerta Globale da parte di alcune organizzazioni sindacali» (punti 4.3.7 e 6.1.5.9 del prospetto).
1.1) Le segnalazioni circa il contrasto della procedura di alienazione delle partecipazioni di RaiWay, stabilita dal DPCM, con la disciplina di diritto pubblico regolante la concessione del servizio pubblico radiotelevisivo
Le organizzazioni SLC-CGIL, UGL-Telecomunicazioni, Libersind, UILCOM, Snater lo scorso 22 settembre u.s. hanno inviato un esposto indirizzato al Presidente del Consiglio dei Ministri, alla Ministra dello sviluppo economico, al Presidente della Corte dei Conti, al Presidente della Consob, al Presidente della Borsa italiana, al Presidente della Commissione per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, al Presidente dell’AGCOM, al Presidente dell’AGCM, denunciando la violazione dell’ art. 21 l. 112/2004 e dunque, la illegittimità della procedura di vendita delle azioni di Rai Way.

Il DPCM del 2.9.2014 prevede che l’alienazione di quote di partecipazione detenute da RAI in RAI WAY possa essere effettuata mediante offerta pubblica di vendita o «trattativa diretta da realizzare attraverso procedure competitive trasparenti».
Tali indicazioni sono in contrasto con l’art. 21 della l. n. 112/2004, unica norma vigente che regoli la dismissione della partecipazione dello Stato nella RAI.
Essa prevede che l’alienazione delle quote avvenga «mediante offerta pubblica di vendita», affida al CIPE la definizione dei tempi, le modalità di presentazione, le condizioni e gli altri elementi dell’offerta o delle offerte pubbliche di vendita (art. 21, comma 3°), prescrive che gli aderenti all’offerta siano in regola con il pagamento del canone di abbonamento, vieta l’alienazione delle azioni prima di diciotto mesi dalla data di acquisto, indica il limite massimo del possesso dell’uno per cento delle azioni aventi diritto di voto, vieta i patti di sindacato di voto o di blocco, destina i proventi derivanti dalle operazioni di collocamento sul mercato delle azioni per il 75 per cento al Fondo per l’ammortamento dei titoli di stato e, per la restante quota, al finanziamento degli incentivi all’acquisto e alla locazione finanziaria «per favorire la diffusione nelle famiglie italiane di apparecchi utilizzabili per la ricezione di segnali televisivi in tecnica digitale, in modo tale da consentire l'effettivo accesso ai programmi trasmessi in tecnica digitale» (art. 25, comma 7°).
1.2) L’applicazione della disciplina di diritto pubblico prevista per la RAI e la sua applicazione necessaria anche a Rai Way.
Attualmente, la copertura integrale del territorio e le infrastrutture per la trasmissione radiotelevisiva digitale sono assicurate dalla controllata Rai Way che, è bene ricordarlo, nasce come ramo d’azienda della RAI, ed era controllata al 100% dalla RAI che, come scritto a pag. 19 del bilancio d’esercizio 2013, «Dall’atto di conferimento (1° marzo 2000), la società Rai – Radiotelevisione italiana Spa svolge attività di direzione e coordinamento nei confronti di Rai Way S.p.A.». Sempre dal Bilancio d’esercizio 2013 (pag. 9), si evidenzia come a fronte di 219 milioni di ricavi, ben 182 sono riconducibili ad attività svolte per il gruppo RAI.
In considerazione di tali elementi ed in particolare di quanto affermato nel bilancio d’esercizio è innegabile l’inscindibile connessione tra Rai e RaiWay
2) Sull’inscindibilità del nesso di strumentalità tra impianti per la radiodiffusione del segnale televisivo e sonoro e le frequenze oggetto delle concessioni per l’esercizio del servizio pubblico.
Al punto 38 della delibera adottata da Codesta Autorità in data 10.3.2015 si legge: «Inoltre, si deve osservare che, da quanto emerge dal Prospetto di collocamento delle azioni di Rai Way, quest’ultima è proprietaria delle infrastrutture di tipo attivo, nello specifico gli impianti di diffusione, con cui si diffonde e trasmette il segnale di Rai e non solo delle infrastrutture di tipo passivo, vale a dire le infrastrutture in cui vengono ospitati gli impianti. La concentrazione, quindi, incide sull’erogazione di un insieme di servizi più ampio rispetto a quello oggetto delle misure sopra richiamate».
Viene in rilievo un profilo fondamentale, che incide in modo genetico tanto sulla intera praticabilità dell’operazione di cessione di partecipazioni di Rai Way, quanto sulla paventata possibilità che l’OPAS lanciata da EIT produca una concentrazione ex art. 6 l. 287/1990.

Infatti, l’art. 27, comma 7 bis, d. lgs. 177/2005 (TU radiotelevisione), dispone che «La cessione anche di un singolo impianto radiotelevisivo, quando non ha per oggetto unicamente le attrezzature, si considera cessione di ramo d’azienda. Gli atti relativi ai trasferimenti di impianti e di rami d’azienda ai sensi del presente articolo, posti in essere dagli operatori del settore prima della data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma, sono in ogni caso validi e non rettificabili ai fini tributari».
Dunque, è la legge a definire ramo d’azienda l’impianto radiotelevisivo, quando non ha per oggetto unicamente le attrezzature.
Ecco dunque la norma di rango primario dalla quale si evince che Rai Way è “un pezzo” della RAI e che pertanto risulta essere tenuta all’osservanza delle norme previste per la RAI anche in relazione alle modifiche del capitale azionario.
Ed infatti, viene in rilievo la concessione di servizio pubblico approvata con D.P.R. del 28 marzo 1994, il quale stabilisce, all’art. 1, che «è concesso in esclusiva alla RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a., alle condizioni e con le modalità stabilite dall'acclusa convenzione, il servizio pubblico di diffusione di programmi radiofonici e televisivi sull'intero territorio nazionale».
Al punto 4 dell’art. 1, si legge che La concessione comprende: a) l'installazione e l'esercizio tecnico degli impianti destinati alla diffusione di programmi sonori e televisivi ed i connessi collegamenti di tipo fisso necessari per la produzione e la distribuzione; b) la trasmissione di programmi mediante gli impianti predetti, sia all'interno che all'estero, nel rispetto degli indirizzi generali formulati dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, a norma dell'art. 4 della legge 14 aprile 1975, n. 103, delle altre disposizioni di legge in materia radiotelevisiva e dell'autonomia decisionale della RAI».
L’art. 21 del d.p.r. cit. prevede anche un diritto di riscatto in favore dello Stato allo scadere della Convenzione.
Con il d. lgs. 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, il quadro normativo non è mutato, ma anzi, la fonte regolante la materia è divenuta di rango primario.
La concessione è affidata nominativamente alla Rai, non a Rai Way né ad altri soggetti (art. 49), e l’oggetto della concessione comprende chiaramente anche la titolarità (piena) e la gestione (autonoma) della rete in funzione della necessaria copertura nazionale.
Si legge, infatti, all’art. 45, che «Il servizio pubblico generale radiotelevisivo, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, comunque garantisce:
a) la diffusione di tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche di pubblico servizio della società concessionaria con copertura integrale del territorio nazionale, per quanto consentito dallo stato della scienza e della tecnica;
m) la realizzazione nei termini previsti dalla legge 3 maggio 2004, n. 112, delle infrastrutture per la trasmissione radiotelevisiva su frequenze terrestri in tecnica digitale.».

Gli indici normativi appena elencati non sono stati intaccati né dal d.l. 66/2014 né dalla legge di conversione.
E’ di tutta evidenza come la disciplina di diritto pubblico relativa al sistema di concessione del servizio radiotelevisivo (che, com’è noto, è stato affidato dall’art. 45, L. n. 112 del 2004 -ora, art. 49, D. Lgs. 31 luglio 2005, n. 117- alla RAI, la quale risulta, pertanto, concessionaria ex lege e non per provvedimento amministrativo discrezionale) si intrecci inestricabilmente con l’operazione per cui è la presente istruttoria, con i profili di concentrazione rilevati da codesta Autorità.
Infatti, se Rai Way è uno strumento indispensabile e imprescindibile per l’erogazione del servizio pubblico radiotelevisivo, è evidente che l’acquisto di partecipazioni di Rai Way da parte di EIT rischierebbe di creare una concentrazione con potenzialità lesive non solo del corretto ed equo funzionamento della concorrenza e del mercato nel settore del broadcasting radiotelevisivo, ma anche un illegittimo e forse illecito intreccio dovuto all’acquisizione del controllo e gestione delle strutture funzionali ed essenziali all’erogazione del servizio pubblico da parte del principale competitor di Rai (si legge, infatti, al punto 26 della delibera adottata da codesta Autorità: «ed infatti benché Rai S.p.A. risulti titolare del diritto d’uso dei cinque multiplex Rai si deve osservare che Rai Way detiene i relativi impianti di diffusione. Pertanto, nello specifico mercato del broadcasting digitale è necessario evidenziare la specificità della posizione di Rai Way, che dispone di uno degli elementi essenziali per lo svolgimento dell’attività di broadcasting digitale di Rai»).
Gli indici normativi di tale rapporto di inscindibilità tra frequenze e impianti per la loro diffusione, derivante dal rapporto di strumentalità, tanto più importante e “intenso” se si considera che in gioco ci sono i valori del servizio pubblico radiotelevisivo (si pensi anche soltanto al fatto che l’informazione pubblica assicura che gli interessi delle diverse formazioni sociali abbiano uguale spazio mediatico e concorre, dunque, a rendere effettiva la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese) non si fermano al TU radiotelevisione - il che già di per sé sarebbe ampiamente sufficiente - ma si trovano, per così dire, sparsi nell’ordinamento.
Si pensi all’art. 16 l. 223/1990 (Concessione per l'installazione e l'esercizio di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva privata), ai sensi del quale, al comma 1°, si prevede che «La radiodiffusione sonora o televisiva da parte dei soggetti diversi dalla concessionaria pubblica è subordinata al rilascio di concessione ai sensi del presente articolo. La concessione è rilasciata anche per l'installazione dei relativi impianti».
Nel medesimo senso, è sufficiente leggere il testo dell’art. 195 d.p.r. 156/1973 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), il cui 1° comma dispone che: «Chiunque installa od esercita un impianto di telecomunicazione senza aver ottenuto la relativa concessione o autorizzazione è punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 500.000 a lire 20.000.000».
Il nesso tra installazione o esercizio di un impianto di telecomunicazione e relativa concessione appare, dunque, imprescindibile.
E a ben vedere, nel sistema sono stati previsti dei meccanismi di controllo, come EIT mostra di ben sapere, sol che si consideri che tra le condizioni cui è subordinata l’OPAS c’è l’autorizzazione allo svolgimento delle attività concernenti un pubblico servizio, che il MISE deve rilasciare ai sensi dell’art. 2, comma 2 del contratto di servizio RAI.
Il quadro della giurisprudenza in materia appare per molti tratti coeso e illuminante.

Infatti, fermo restando che «nel caso in cui la società concessionaria del servizio pubblico di diffusione radiotelevisiva (Rai spa) ceda un ramo d’azienda ad una società da essa controllata, gli impianti ceduti restano nella piena disponibilità della concessionaria e vengono utilizzati per il servizio pubblico» (cfr. T.a.r. Veneto, sez. III, 07-04-2006, n. 886), l’acquisto degli impianti e dei rami d’azienda è stato qualificato come modo d’acquisto delle frequenze televisive, il che è inconcepibile se in gioco ci sono le concessioni per il servizio pubblico (cfr. T.a.r. Lazio, sez. III, 30-11-2006, n. 13415, in Giurisdiz. amm., 2006, II, 2039, secondo cui »in tema di assegnazione di frequenze televisive, l’art. 23, 3º comma, l. 3 maggio 2004 n. 112 ha previsto per le reti digitali un modo ulteriore di conseguimento delle frequenze attraverso l’acquisto di impianti e di rami d’azienda che non preclude la possibilità di acquisire ulteriori frequenze in via amministrativa»; illuminante è anche Cons. Stato, sez. VI, 09-03-2010, n. 1387, secondo cui «il regime pubblicistico di concessione appare un ragionevole strumento utilizzato dal legislatore al fine di regolamentare lo sviluppo ed esercizio del servizio e dell’attività di radiodiffusione; tale ratio postula che l’attività edilizia di costruzione degli impianti non possa essere considerata funzionalmente autonoma ma accessoria all’attività di radiodiffusione»).
L’inscindibilità tra concessione delle frequenze e impianti per lo loro diffusione si evince a chiare lettere anche dal decisum di Cons Stato, sez. VI, 21-05-2009, n. 3123, secondo cui «l’emittente televisiva risultata inadempiente nei confronti del ministero delle comunicazioni tanto da non avere neanche ritirato la concessione, non riveste la veste di soggetto autorizzato a cedere impianti, relativi a frequenze rispetto alle quali non è in regola; tali inadempienze precedono gli atti di compravendita che necessitano, comunque, dell’autorizzazione del ministero e non sono a questo opponibili»; nello stesso senso, v. anche Cass. pen., sez. V, 24-09-2002, secondo cui «equivale a mancanza di concessione, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 195, 1º e 3º comma, d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, nel testo introdotto dall’art. 30 l. 6 agosto 1990 n. 223, l’inosservanza, da parte del concessionario di un’attività di radiodiffusione, delle prescrizioni contenute nell’atto di concessione relativamente alla localizzazione degli impianti, alla delimitazione dell’area di irradiazione dei segnali, alla frequenza utilizzabile ed alla potenza di trasmissione”.
Infine, anche l’Agcm ha configurato come ramo d’azienda inscindibile la connessione tra frequenza ed impianto richiedendo a Rai, nel corso della campagna di acquisizioni di frequenze relative al c.d. switch-off digitale la comunicazione di concentrazione, come ad esempio dal seguente comunicato stampa della stessa Autorità.
Dal quadro legislativo, regolamentare e giurisprudenziale illustrato emerge con sufficiente chiarezza che un controllo su Rai Way da parte di altri operatori determinerebbe una contitolarità sui rami di azienda costituiti da ogni singola frequenza e ogni singolo impianto, con tutte le conseguenza agevolmente immaginabili in tema di negoziazione dello stesso ramo, incidenza sugli investimenti della rete, concentrazione, etc.
Pochi dubbi paiono dunque profilarsi circa l’illegittimità della procedura di OPAS oggetto della intestata procedura istruttoria, la quale, oltre a mettere a repentaglio la regolarità della concorrenza e del mercato nei settori individuati da codesta Autorità, rischia di stravolgere il sistema di diritto pubblico relativo alla concessione del servizio

pubblico radiotelevisivo, trasferendone di fatto, ma contra ius, la detenzione e, quindi, il controllo.
Si tratta di un aspetto non certo ignoto a codesta Autorità, che mostra di ben conoscerlo, come si evince dal punto 41 della delibera del 10.3.2015 («41. Ulteriori circostanze che potrebbero determinare diversi rischi di natura concorrenziale riguardano i rapporti in essere tra Rai e Rai Way, anche alla luce degli obblighi di servizio pubblico di Rai, che sembrano creare un legame permanente tra le due società»).
3) Divieti di autoproduzione (art. 9 l. 287/1990)
Secondariamente, la procedura di OPAS da parte di EIT su Rai Way potrebbe coinvolgere anche profili relativi al divieto di autoproduzione, di cui all’art. 9 l. 287/1990.
Infatti, il “corto circuito” giuridico che si realizzerebbe qualora EIT acquisisse il controllo di Rai Way e, quindi, come dimostrato, anche della concessione per l’erogazione del servizio pubblico radiotelevisivo potrebbe integrare una violazione dell’art. 9, 2° comma, l. n. 287/1990.
EIT per un verso potrebbe servirsi di un ramo di azienda della RAI per diffondere il segnale delle frequenze di cui sono concessionarie società facenti parti del gruppo cui la stessa EIT appartiene; per altro verso, EIT, fornendo gli strumenti per la diffusione del segnale radiotelevisivo, contribuirebbe con le proprie (o in parte proprie) strutture all’erogazione del servizio pubblico, il che pare decisamente contra legem.
Tutto ciò premesso
La sottoscritta SLC- CGIL chiede a codesta Autorità Indipendente
1) di essere ascoltata in audizione presso la detta Autorità, al fine di fornire informazioni utili allo svolgimento della istruttoria, relativamente ad aspetti che rilevano ai fini delle conseguenze sociali delle operazioni in oggetto;
2) in via preliminare, di ordinare a Rai Way S.p.a. e ad EI Towers S.p.a. di sospendere la realizzazione della concentrazione fino alla conclusione dell'istruttoria,
3) di valutare, ai sensi dell’art. 14 bis l. 287/1990, la ricorrenza di un caso d’urgenza e deliberare l’adozione delle opportune misure cautelari,
4) di accertare che la concentrazione, oggetto della presente istruttoria, intende realizzare l’operazione a valersi in modo diretto o indiretto su beni assentiti da concessione, pertanto incommerciabili, e rientra in ogni caso tra quelle contemplate dall'articolo 6 l. 287/1990 e a vietarne l'esecuzione, con ogni conseguenza di legge.

Massimo Cestaro
Segretario Generale SLC-CGIL

Scarica il pdf: Istruttoria Rai Way lettera Presidente Autorità Garante

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