SLC CGIL: “Malgrado le norme e le certificazioni in Poste Italiane la strada per la piena parità di genere è ancora lunga. Maternità, part time volontario, lavoro di cura famigliare restano ancora fattori di discriminazione”
In Poste Italiane il 55% del personale è donna, dunque un rapporto equilibrato tra generi. Lo squilibrio, invece, è sulle retribuzioni: stipendi più bassi sul dato generale, e il divario è evidente soprattutto nel salario accessorio, quello che sfugge alla contrattazione sindacale e resta relegato a scelte unilaterali aziendali. Su questi numeri incide, ancora, il ruolo di cura che la donna svolge e che le impedisce la messa a disposizione piena del proprio tempo con ripercussioni sulla carriera. Così come l’essere in stato di gravidanza può ancora essere un fattore di posticipazione del contratto. Nell’alta dirigenza, poi, troviamo il 22% di donne contro il 78% di uomini. È questo che emerge dai dati di bilancio di gestione (2024) e quelli indicati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile (Biennio 2022/2023), illustrati questa mattina nel corso dell’iniziativa “Il ruolo delle donne in Poste Italiane”, che si è svolta a Roma nella sede della Cgil Nazionale.
All’incontro, organizzato da SLC Cgil, è stato sottolineato come, malgrado il grande lavoro di questi anni del sindacato (finalmente le donne in stato di gravidanza vengono assunte a tempo indeterminato nei processi di stabilizzazione previste dalle Politiche Attive) all’interno dell’azienda resta ancora una cultura misogina, poca attenzione verso le donne vittima di violenza, sia essa generata sul lavoro sia domestica, una resistenza a concedere Part Time alle lavoratrici che debbono assolvere ruoli di cura per i figli o i famigliari. Si tratta di lavoratici a cui viene negata anche una risposta, tanto da essere costrette a rivolgersi al Consigliere Provinciale di Parità mentre ci sono lavoratori “involontari” di Part Time a cui viene negata la conversione in full time. Nei contratti part time, invece sono gli uomini a usufruirne per il 38% (di cui solo il 22% volontari) mentre le donne sono il 62% (di cui il 78% volontari), ma il passaggio ad un contratto part time non è affatto scontato, malgrado il numero degli involontari, perché le richieste vengono respinte al mittente anche se motivate da ragioni di cura e assistenza a figli o famigliari. Ne hanno discusso, nel corso di un incontro molto partecipato, Martina Tomassini, coordinatrice nazionale SLC CGIL; Lara Ghiglione, segreteria nazionale Cgil; Roberta Mori, Pd; Yara Serafini, avvocata giuslavorista; Anarkikka, vignettista e Simonetta Marangoni, di Poste italiane, coordinate dalla giornalista del Sole 24ore Simona Rossitto. “Il problema nella gestione delle risorse si evince soprattutto nei ruoli di produzioni – ha premesso Tomassini illustrando i dati – dove rileviamo che la dirigenza non tiene conto delle reali esigenze quando si tratta di interdizione posticipata, part-time volontario o assunzione di donne in gravidanza. Siamo consapevoli che nella maggior parte dei casi è un problema di cultura di genere”
“Siamo sempre agli ultimi posti delle graduatorie rispetto agli altri Paesi europei quando si tratta di temi legati alla parità di genere – ha sottolineato Ghiglione – mentre dovrebbe ormai essere chiaro a tutti, come ci ricordano tutti gli economisti, che abbattere il gender gap vuol dir far crescere il Paese e il Pil del Paese”. Per Mori la questione è anzitutto politica, occorre cioè “sradicare un assetto preciso della società” che vede il potere ancora tutto al maschile e che non riesce a superare lo stereotipo secondo cui l’aspetto paritario è un approccio “ideologico” al problema. Lo spiega bene Serafini, che da avvocata giuslavorista. “Le norme esistono, molte sono antiquate, ma i fattori discriminatori, malgrado il diritto del lavoro, restano”. “La questione della parità di genere – ha concluso Saccone – in Poste è antica e più complessa di quanto si pensi. C’è una differenza abissale fra le politiche generali di gruppo e quanto avviene sui territori. Ancora troppe discriminazioni e rigidità che spesso si traducono in vere e proprie ingiustizie. Poste è un ‘campione nazionale’ e noi crediamo che debba esserlo non solo nelle prospettive industriali ma, forse, anche nella capacità di essere davvero un esempio di politiche inclusive e antidiscriminatorie”.
Fulminea l’osservazione di Anarkikka: “Non vorremmo più politiche che ci includono ma politiche ci prevedono”.
Roma, 11 giugno 2025
Ufficio Stampa SLC CGIL