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Avevamo capito che l’incontro richiesto da Cisl, Uil e Ugl sulla vicenda Telecom fosse stato inoltrato al Governo sulla scorta della preoccupazione per le decisioni che l’azienda si appresterebbe a prendere riguardo la societarizzazione dei propri call center.
Invece apprendiamo dalle recenti dichiarazioni stampa dell’Amministratore Delegato di Telecom Italia che il tavolo lo darà lui e con un preciso ordine del giorno: dalle nuove assunzioni agli esuberi strutturali, non pervenuta la societarizzazione dei call center. Come dire: il Governo ci presti le sale che il programma lo facciamo noi. E che programma!
A parte la curiosità di vedere come si coniugheranno le nuove assunzioni con gli esuberi strutturali, su quest’ultimi abbiamo più di una perplessità. L’accordo del 27 marzo 2013 prevedeva, grazie ad un programma molto stringente di reinternalizzazioni, il superamento delle eccedenze. Programma che doveva aver funzionato se l’azienda ha iniziato nei mesi scorsi a lavorare ad un piano di sviluppo ambizioso. Ora dove sarebbero questi esuberi strutturali?
La verità purtroppo è che in questo anno e mezzo l’azienda ha perso in coerenza ed efficacia nell’organizzazione del lavoro in settori vitali.
Basti vedere la confusione che regna, ormai da mesi, in ambito open access, dove prevalgono sempre più mere logiche “ragionieristiche” volte al raggiungimento di una produttività sterile, che non risponde alle reali esigenze di presidio del territorio e soddisfazione della clientela ma sembra più confacente a semplici calcoli legati al raggiungimento di obiettivi personali, avulsi da qualsiasi progettualità.
Non si spiegherebbero altrimenti gli spostamenti di tecnici su ambienti di lavoro diversi non sempre giustificati dalla quantità di attività effettivamente presente. Così come non si giustificano le attribuzioni di attività sempre più pregiata verso l’esterno. Una condizione nella quale la pressione individuale sul tecnico sembra essere diventata il perno principale, se non l’unico, dell’organizzazione del lavoro in open access.
Questa condizione di scarsa chiarezza, diremmo di assenza di obiettivi intellegibili, si presenta in tutti gli ambiti aziendali e rischia di venir aggravata dalla conferma da parte del Consiglio di Stato della multa milionaria inflitta all’azienda per abuso di posizione dominante nel settore delle telecomunicazioni. Una conferma pesante che potrebbe aprire scenari davvero complessi e preoccupanti per l’azienda.
Tutto questo dovrebbe consigliare un approccio differente a tutte le parti in causa. Dovrebbe portare maggiore chiarezza da parte aziendale ed evitare di condensare tutto al solito ricatto sulla societarizzazione dei call center.
E invece si sceglie la strada opposta. Si sta per aprire un tavolo (governativo? Aziendale?) nel quale Telecom si appresta a cambiare nuovamente le carte in tavola, presentandosi con esuberi (con buona pace del recentissimo tour estero dell’Amministratore Delegato nel quale ha spiegato come l’azienda si apprestasse a fare 4000 nuove assunzioni e come il periodo di una Telecom piegata su se stessa e rassegnata al declino fosse terminato), continuando a fare preavvisi di societarizzazione di “caring services”da scambiare con chissà che cosa. Un tavolo del genere, con questi presupposti, difficilmente potrà fare chiarezza sul futuro dell’azienda ma rischia seriamente di trasformarsi in una “dark room sindacale”.
Il 30 giugno è importante che le lavoratrici ed i lavoratori di Telecom dicano con forza, aderendo allo sciopero, che sono stanchi di questi atteggiamenti. Che la preoccupazione per il futuro di un’azienda che non è particolarmente amata dal Governo non può essere merce di scambio. Il 30 giugno deve alzarsi forte la richiesta ad accantonare definitivamente tutte le pregiudiziali che hanno contraddistinto gli ultimi mesi di vita sindacale in azienda, a dire con chiarezza che la scommessa è, per l’oggi e per il domani, la salvaguardia dell’unicità dell’azienda e ad iniziare una pagina nuova nelle relazioni industriali.
Se invece il management aziendale preferirà continuare con la strada sulla quale si è arenato da mesi (alzando magari il prezzo della non societarizzazione del caring) la contrarietà della SLC-CGIL sarà il male minore. L’unico vero risultato sarà la totale disaffezione da parte dei propri dipendenti, una disillusione che, in un momento comunque delicato per l’azienda come questo, potrebbe risultare veramente fatale.

La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL

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